L'idea di realizzare un Moai risale alla fine degli anni '80 (esattamente nel 1987). La trasmissione condotta da Mino d'Amato "Alla Ricerca dell'Arca", aveva consentito uno straordinario legame culturale tra Vitorchiano e l'isola di Rapa Nui. L'isola caratterizzata dalle colossali ed enigmatiche statue, chiamate Moai, le quali si stavano deteriorando e giacevano in uno stato di degrado. Era necessario richiamare l'attenzione mediatica mondoiale. Realizzarne uno sarebbe stato un grande richiamo e siccome la delegazione pasquense incaricata di trovare la pietra idonea, la individuò solo ed eslusivamente nella cava della famiglia Anselmi A Vitorchiano, si predispose il tutto per il progetto, con l'aiuto della RAI.
Gli Anselmi, titolari della più antica e illustre industria per l' estrazione, la lavorazione e la commercializzazione a livello mondiale di peperino, per un certo periodo ospitarono con grande cordialità la famiglia di Juan Atan Paoa, ultimo discendente di Ororoina (alla XIV^ generazione). Per tale motivo, Juan ha fatto loro dono di una lastra ovale di peperino incisa con caratteri Rongo-Rongo, la scrittura indigena, informandoli che nessuno di loro sarà mai ospite qualunque a Rapa Nui ma sempre accolto come un fratello di pietra. Sull'isola c'è un unico villaggio. chiamato Hanga Roa, nel quale vivono circa 1.600 persone.
La realizzazione del Moai venne seguita per tutto il tempo dalla televisione (4 settimane) e dalle testate giornalistiche; il monolite estratto dalla cava pesava 400 q e fin da subito i Maori intonarono canti propiziatori affinchè i lavori si svolgessero senza intoppi. I loro utensili erano volutamente analoghi a quelli dei loro antenati pasquensi, come le asce di pietra. A poco a poco l'enorme nume tutelare prendava forma e quando venne il momento di issarlo, ci fu uno sforzo congiunto tra i Maori e gli operai della ditta Anselmi. Al Moai mancava però ancora un dettaglio importantissimo: il Pukao, ossia il copricapo in peperino rosa, che anche le statue originali possiedono immancabilmente. Si discute ancora sul significato di questo strano 'cappello', che secondo alcuni simboleggia i capelli rossi misteriosamente diffusi tra la popolazione indigena.
In questo video si percepisce la suggestiva cerimonia sacra, il Kuranto, che seguì la conclusione dell'opera. Costumi polinesiani, gonnellini di paglia, tanga di piume, corpi dipinti di terra bianca e rossa, danze e canti intorno al Moai appena compiuto e ancora nella cava. I Maori intonarono dei canti struggenti, sacri, relazionati al loro mitico capostipite, Hotu-Matua, arrivato dal mare da oriente.
Il Moai era riuscito perfettamente: lo stesso sorriso enigmatico, lo stesso sguardo ignoto, la posizione di eterna attesa. Mentre l'ukulele accompagnava il cerimoniale pasto degli indigeni nei pressi di un forno sotterraneo, si cominciò ad organizzare il trasporto del colosso nella piazza di Vitorchiano nel 2007 venne trasferita temporaneamente per essere esposta per nove mesi in Sardegna, a Villanovaforru in occasione della mostra di arte precolombiana nel Museo del Territorio «Sa Corona Arrubia». Una mostra che ricostruiva percorsi e testimonianze sugli usi e costumi delle popolazioni che abitarono un tempo le aree andine di Cile, Patagonia, Terra del fuoco e Isola di Pasqua. Nel 2008 è tornata a guardare Vitorchiano nell'attuale luogo del belvedere lungo la strada Teverina.